Dal 600 al 700

A Pordenone, i più bei capolavori dell’arte fiamminga

Presso la Galleria D’Arte San Giorgio di Pordenone è possibile ricevere assistenza e consulenza all’acquisto di opere d’arte fiamminga del sei e settecento europeo, grazie alla professionalità e alle qualifiche del suo curatore.

Il Seicento e il Settecento

Il Seicento

Dopo la metà del XVI secolo la tecnica bulinistica andò lentamente decadendo, poiché i dettati delle Scuole italiane, tutte di riproduzione dei grandi modelli pittorici nazionali, divennero regola per le altre Scuole e Botteghe del Nord Europa ed in particolare della zona fiamminga e olandese.

Qui ancora questa tecnica trovava applicazione originale nei paesaggismi sia dei Wierix che dei Sadeler, mentre i primi italiani ad usare l'incisione fine a se stessa, e quindi come capitolo di una seria produzione artistica, furono il Parmigianino, che si reimpostò ad incidere all'acquaforte, correggendola pittoricamente con tocchi di puntasecca, e Annibale Carracci. Il nuovo secolo vede diffondersi sempre più nei pittori, considerati grandi al loro tempo, quell'atteggiamento di praticare l’incisione all'acquaforte sviluppandola al di fuori della mera riproduzione di proprie opere pittoriche: vedasi a tal proposito l‘opera di Guido Reni, dell'ispano-italico Giuseppe de Ribera, e del di poco più giovane Salvator Rosa.

Il vero protagonista, tuttavia, di un'arte che si avviava sempre più verso una concezione assolutamente naturalistica ed inventiva, quasi totalmente giocata sulla tecnica di morsura agli acidi, è il lorenese Jacques Callot, che illustra il mondo che lo circonda, fuori da qualsiasi canone classico e con immediatezza oculare.
Spirito alternativo, spesso bizzarro, ma fortemente particolaristico, egli guarda i propri simili con acutezza retorica, rappresentandoli, però, in equilibrio e armonia entro spazi minuti ed è a lui che si assimila il suo continuatore ed emulo (nei contenuti ma non nei tratti) Stefano Della Bella, il più fecondo e rappresentativo incisore italiano del Seicento.

A questi primi dobbiamo associare il ligure C.B Castiglione, formidabile creatore di modelli nuovi luminosi e contrastanti, con forte senso sentimentale. Egli risulta il più dotato e personale artista sia "della punta" che del pennello del nostro Seicento, poiché sentì le influenze di Van Dyck e Rembrandt, ma li italianizzò con tratti di assoluta grazia e naturalezza, pur analizzando i soggetti più disparati. Non ultimo nella compagine, si deve ricordare Claude Gellée "il Lorenese", influenzato da quell'incredibile tedesco di Francoforte, Adam Alzheimer, analista dei fenomeni luminosi naturali e teorico involontario del miglior paesismo barocco, che attraverso Claude e le sue incisioni arriverà a formare le atmosfere sentimentalico-idilliache degli olandesi suoi contemporanei.
Grande meteora del Seicento, la mostra ci porterà ad incontrare Rembrandt, il più grande, l’unico, il solitario, sopra tutti e fuori da ogni confronto, che interpretò per primo quella ricerca di verità e naturalezza che saranno care al Secolo Barocco, in termini totali ed applicazioni assolute. Lui, il piccolo e gigantesco artista di Leida, figlio di un mugnaio benestante, cantore sublime delle gioie e dei dolori del vivere umano. Nella sua Olanda molti furono gli incisori di invenzione a lui contemporanei, ma che per diverse accezioni nacquero da una figura minore del pennello, quel Pieter de Laar, detto a Roma "il Bamboccio", che dalla Città Eterna portò la consuetudine delle rappresentazioni di vita popolare fino ai Paesi Bassi, facendo così emergere il genio di A. van Ostade e con lui di C. Bega, di J. Van Vliet e di C. Dusart.

Sempre olandesi, nati attorno al ritrattismo rembrandtiano e vandyckiano (tutti compilatori "dell'iconographia" di quest'ultimo), spiccano notevolmente Lievens e Böll e i francesi Nanteuil, Audran, Edelinck, Mellan e i Drevet.
Per la nuova ricerca paesaggistica dobbiamo citare i van de Velde, il magnifico e immaginifico Ruisdael e gli armoniosi Waterloo e Everdingen, il poetico compositore di marine Zeeman, non dimenticando ancora le rappresentazioni del mondo animale di Potter, van de Velde, Berckem, Dujardin, e per ultimo quel P.P. Roos detto "Rosa da Tivoli" che in qualche modo può essere consideralo uno dei cantori del movimento tardo barocco dell’Arcadia.

Il Settecento

ll nuovo secolo XVIII, che si presenta in vesti frivole e raffinate (tanto che il pensare comune è di considerare le arti figurative esclusivamente come elementi piacevoli di completamento ad una vita lontana dai crucci e dalle avversità), presenta le tecniche incisorie nuovamente come soggetti di riproduzione e di divulgazione a fini meramente decorativi: queste si raffinano e si perfezionano per riuscire a reinterpretare le opere dei grandi nei modi più precisi possibili.

L’Arte europea entra in parte in stagnazione cosicché, tra le poche voci di creatività genuina, rimarranno solo la scuola veneziana, in tutte le sue accezioni, l’immaginativa inglese e di Hogarth e la voce assoluta dello spagnolo Goya, artista di grande complessità, creativo, analizzatore e fustigatore delle trivialità ignoranti di un'umanità guardata con occhi di giudice imparziale ed implacabile di uomo immerso nella corrente illuminista.

Le nuove tecniche incisorie nei Secoli XVII e XVIII

La maggiorata richiesta di stampe da parte di gruppi sociali più ampi comportò anche la nascita di nuove tecniche incisorie per diversificare maggiormente i linguaggi espressivi: la maniera-nera o mezzotinto è una tecnica del tutto nuova anche se appartenente alla grande famiglia di quelle “in cavo”, di grande fascino tonale e più adatta ad ottenere eleganti soggetti a colori simili ai disegni a pastelli, o che possono ricordare se ad un solo tono, i lavis a grisaglia, a seppia, in bruno, stesi a pennello.

Dalle specializzazioni dell'acquaforte, intese ad imitare le tecniche di disegno a matita, gessi neri, carboncini o le pennellate all'acquerello, nacquero genericamente le vernici-molli (le prime tre) e le acquetinte (imitanti l’ultima tecnica accennata). La maniera-nera venne inventata nel 1642 da un ufficiale tedesco, Ludwig von Siegen, luogotenente colonnello al servizio del langravio di Hesse nella parte finale della guerra dei trent'anni, che la fece conoscere al celebre principe Rupert, figlio di Frederick V e nipote di Karl I, esperto conoscitore amatoriale delle tecniche incisorie. A sua volta egli la perfezionò e la propose a tre suoi amici artisti del centro Europa che ulteriormente la diffusero. Lo stesso principe, figlio della principessa inglese, lo propose all'interno dei territori di Gran Bretagna, dove ebbe fortuna immediata ed un seguito duraturo.

Tecnica, la più raffinata e complessa, che prevede un grande impegno del tutto manuale per predisporre la superficie della matrice in ruvidità, tutta cosparsa da un'infinità di barbe sottili sulle quali, con un brunitoio, si agisce variamente, raschiandole o più o meno livellandole o schiacciandole, ottenendo marezzature tonali che sembrano magicamente far apparire le immagini designate dall'incisore. La durata attiva di una di queste planches è molto labile e da essa si possono tirare poche decine di buone prove ricche, morbide e tonali.

Le acquetinte sì basano sull'acquaforte cui si aggiungono interventi materici, costituiti da aspersioni totali delle matrici con prodotti solidi pulverulenti, pece greca o asfalto commisto a polveri quarzifere a bassa temperatura di fusione: scaldando moderatamente le dette lastre si provoca l’agglomerazione parziale delle polveri e la loro fusione in aderenza superficiale stabile.
Un susseguente bagno acido di morsura, penetrando nelle micro-areole, fa ottenere superfici scabre che inchiostrate danno dei morbidi effetti tonali simili a pennellate di lavis, sulle quali l’incisore, poi, si destreggia ulteriormente, secondo la propria sensibilità, ottenendo immagini morbide ed armoniose.

Inventore di questa tecnica sembra sia stato il pittore ed incisore di chiara fama Jean-Baptiste Le Prínce, nel 1768: da essa altri otterranno, poco dopo, per sovrapposizioni plurime di matrici preparate in vari toni, le più eleganti stampe a colori. Sempre avendo per base l’acquaforte, utilizzando materie non indurenti come resine di pino addizionate con cera d'api morbide e plastiche, stese per proteggere le matrici dal bagno acido di morsura, si ottengono le vernici-molli, frapponendo tra la punta che disegna, matita o gesso che sia, e la matrice trattata una leggera velina che va tolta dopo avervi tracciato il soggetto: questa si porterà, via in aderenza la vernice morbida sotto il disegno, cosicché la lastra sarà intaccata dall'acido nelle zone ora non più protette.
L’Opera finita otterrà un aspetto vicino agli effetti di un disegno a matita, a carboncino o gesso. 

Sempre più queste tecniche cercavano di essere succedanee alla pittura a tempera e ad olio, al disegno a pastelli, per permettere, con minor spesa, di ottenere soggetti gradevoli e d'arredamento per allargare i bacini di mercato.
Sorella minore di tutte quelle descritte, nasce nell'ultimo anno del XVIII Secolo, per mano del tedesco AIoys Senefelder, la prima tecnica "in piano": la litografia senza adduzioni od asportazioni di materiale in matrice.

L’inchiostro tipografico, che struttura l’immagine del soggetto creato, aderisce direttamente sui segni tracciati da una matita grassa (la mina interna è costituita da una mistura di sapone, cera e nero-fumo) su una pesante lastra di pietra d'uno speciale calcare che, se bagnato d'acqua, non trattiene inchiostri tranne che nelle zone protette dalle linee del disegno; con un rullo morbido si inchiostrano rapidamente questi tratti che, sottoposti ad una moderata pressione, cedono al foglio di carta l'inchiostro di cui sopra. Rispetto alle tecniche più antiche, questa lastra non si logora e da essa si possono ricavare migliaia di prove a stampa fornendo un mezzo nuovo per l'abbattimento dei costi di produzione; la matrice risulta completamente riciclabile e riutilizzabile per semplice abrasione del soggetto dalla superficie.
Per scoprire i più bei capolavori dell’arte fiamminga, passate dalla Galleria in via Giuseppe Mazzini 57
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